Per la prima volta, la “riflessione” della comunità scientifica più avanzata, riconosce la necessità dell’intervento di un’”altra assistenza” più vicina alla sfera della “spiritualità” nella gestione di una malattia definita “inguaribile e terminale” da affiancare a quella primaria ed insostituibile dell’apparato medico sanitario. Solitamente, poco ci prepariamo all´evento della morte, ad abbandonare fisicamente questa terra, a convincerci della nostra precarietà, ad accettare serenamente il dolore, la sofferenza e la morte, a causa anche di un’educazione e di una cultura che sin dall’infanzia ne è carente.
Da queste considerazioni è partito uno straordinario “appello” che fa giustizia di secoli di diatribe sulla prevalenza del pensiero laico-scientifico o di quello spirituale-religioso; un “Appello” epocale che nasce, da un luogo “privilegiato”, in cui tanti operatori vivendo quotidianamente a contatto con il dolore, con la sofferenza e la morte, costatano la “precarietà del vivere umano”.
Dove l´uomo non può più nulla, o si cade nella rassegnazione e nel fatalismo e ancor peggio nella disperazione, oppure ci si affida ad un messaggio come quello “cristiano”, che presentando la morte terrena come passaggio necessario alla “vera vita” può trasformare la sofferenza ed il dolore in gioia, portare, pace, calma, serenità e speranza non solo al morente ma anche a tutti i suoi familiari ed amici.
25 giugno 2007
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